In Italia la produzione di coltelli era già diffusa in ogni regione, sin dal XIII secolo. Con il passar del tempo ciascuna regione ha conservato una sua precisa identità nella lavorazione dei coltelli, così come le diverse tipologie che sono nate in relazione alle necessità locali e alle caratteristiche culturali. Infatti si trovano all’interno di una stessa regione, diverse tipologie di modelli legate alla località di provenienza. In Sardegna troviamo a Guspini la leppa guspinesa, ad Arbus l’arburesa, a Pattada la pattadesa, a Santu Lussurgiu la leppa lussurgese. Comunque pure Dorgali, Gavoi e Bonorva avevano una produzione di coltelli pregiati.
La produzione di coltelli in Italia nel XVIII secolo era notevole e il modello più diffuso, era del tipo a serramanico ossia con la lama richiudibile all’interno. Poi a partire dal XIX secolo la produzione iniziò a diminuire gradualmente per due principali motivazioni: la prima a causa delle leggi limitative che iniziarono a proibire il porto libero di coltelli, a motivo di contenere i molteplici fatti di sangue diffusi sul tutto territorio italiano, il secondo causato, invece, dall’aumento esponenziale della concorrenza della produzione estera, soprattutto quella tedesca e svizzera, industrialmente più avanzata e innovativa, in grado di sostituire la maggior parte delle produzioni locali.
La storia della coltelleria sarda ha un’origine remota però le prime fonti attendibili relative alla presenza di coltelli a serramanico, risalgono alla prima metà del 1800. Prima di tale periodo esistevano coltelli a lama fissa di dimensioni maggiori, una via di mezzo tra una sciabola ed un pugnale, la “leppa”, la “daga” e lo “stillu”, tipici dei pastori sardi che usavano portarli infilati nella cintura.

La graduale sostituzione del coltello a lama fissa con il modello a serramanico avviene a partire dalla prima metà dell’Ottocento, presumibilmente per la necessità di una maggiore comodità e sicurezza durante il trasporto. In genere il coltello veniva conservato nella bisaccia insieme agli alimenti che il pastore portava con sé: pane, formaggio e salsiccia.
Generalmente il pastore usava portarne di due o tre tipi diversi in relazione al tipo di lavoro da svolgere, come la lavorazione del formaggio, la macellazione, la lavorazione del legno e del sughero ed altre attività legate all’agricoltura, come il taglio degli ortaggi.
Il coltello era uno strumento importante e fondamentale per le esigenze della vita di allora, un oggetto talmente importante che per la sua produzione il pastore si doveva rivolgere a dei veri specialisti: infatti era uno dei pochi strumenti, che non era in grado di fabbricarsi autonomamente.
Gli specialisti, in questione, che producevano i coltelli erano quasi sempre dei fabbri (in lingua sarda ferreri) e al loro mestiere si attribuiva un ruolo fondamentale nell’ambito sociale e culturale dei piccoli centri sardi. Infatti la bottega del ferreri era un luogo di socializzazione e la sua abilità nel lavorare il ferro era indispensabile per aggiustare gli arnesi da lavoro come forbici, posate, roncole, vanghe, ferrature dei cavalli e dei buoi, ecc. Per sottolineare il loro prestigio, ci sono alcuni documenti storici, rinvenuti a Pattada, nei quali si legge che i fabbri, in particolari circostanze storiche, erano esentati dal pagamento dei diritti del feudo. La loro arte si tramandava di padre in figlio e di generazione in generazione.

Il cambiamento tecnologico introdotto gradualmente nell’isola a partire dalla seconda metà del 1900 e il successivo disinteresse delle nuove generazioni ad approcciarsi a questo mestiere, ha ridimensionato il ruolo del fabbro slegando la produzione di coltelli dalla bottega del fabbro e dando origine ad una nuova concezione imprenditoriale. Comunque va precisato, che a differenza di altre produzioni nazionali la coltelleria sarda ha conservato una elevata dose di manualità, nel processo produttivo dovuto anche l’assenza sul mercato regionale di macchine specificamente ideate per il lavoro del coltellinaio.
Un sconvolgimento nella produzione dei coltelli si verifica a partire dagli anni cinquanta, con il benessere economico, l’aumento della ricchezza pro-capite ed il conseguente cambiamento degli stili di vita, sommato al graduale afflusso di turisti che caratterizza l’isola a partire dagli anni sessanta, trasformarono il coltello: da utensile indispensabile alle necessità della vita quotidiana, a ricordo (un souvenir) della Sardegna e manufatto molto ricercato dai collezionisti e amanti del prodotto artistico.
Ecco i diversi tipi di coltello sardo:
Còrrina

È un coltello a lama fissa (quelli di prima generazione) alquanto rustico e semplice. Si tratta di una lama cosiddetta “a foglia di ulivo” semplicemente fissata con più perni ad un manico di corno di capra o di montone, senza l’utilizzo di alcun anello all’attaccatura della lama. Questo coltello proprio per la sua semplicità costruttiva veniva spesso realizzato dal pastore stesso, che in genere utilizzava una vecchia lama di una sega alla quale asportava i dentelli semi consumati che poi affilava con l’ausilio di una pietra abrasiva, fissandola poi con un chiodo ribattuto al corno già perforato in precedenza.
Arburesa

È un coltello a serramanico con lama forgiata a forma di “foglia larga”, panciuta: risulta ideale per scuoiare animali o comunque nella pratica venatoria. La sua impugnatura è spesso modellata in corno caprino; ha una forma arcuata che segue la linea del filo della lama. Nei modelli più recenti è stato arricchito di due anellini in ottone: uno posizionato all’altezza del ribattino e l’altro nel calcagno del manico.
Guspinesa

È un coltello a serramanico realizzato in due modelli: il primo ha una lama lievemente panciuta, nota anche “a foglia di mirto” (foll’e murta) e un manico alquanto ricurvo; il secondo modello, invece, detto “a spatola”, si differenzia dal primo per la lama tronca e dalla forma del manico particolarmente squadrata, che riprende simmetricamente quella della lama.

La guspinesa a lama tronca risale al 1908 quando, in seguito alla pubblicazione della Legge Giolitti si faceva divieto, a chiunque, di portare “senza giustificato motivo” coltelli appuntiti.
PATTADESA

In questo coltello l’impugnatura non è più composta da un monoblocco in corno, ma da due strisce che vengono accoppiate mediante ribattini e incorporano “s’arcu”, l’archetto, un elemento metallico che rende l’impugnatura molto più robusta e praticamente indeformabile.
In Sardegna esistono due Musei sul Coltello, privati, uno si trova a Pattada: il Culter Museo internazionale del coltello, gestito dalla famiglia di artigiani coltellinai Giagu, e l’altro ad Arbus: Il Museo del Coltello Sardo realizzato e gestito dall’artigiano coltellinaio Paolo Pusceddu.
Riferimenti bibliografici
- I pascoli erranti. Antropologia del pastore in Sardegna, Giulio Angioi – Ed. Liguori, 1989;
- Disciplinare di Produzione coltello artigiano – Sardegna, della Regione Autonoma della Sardegna.
- P. Gometz, “Coltelli di Sardegna. Strumenti, simboli e leggende d’una antica civiltà” – Edizioni Della Torre (2002)