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Ploaghe

 


 

Il paese è inserito tra le zone storiche del Logudoro e del Meilogu, in un paesaggio che comprende monti, altipiani, boschi, colline, pianure e vulcani spenti che, con le loro eruzioni, hanno dato vita in passato a incantevoli muraglie naturali che sembrano circoscrivere i territori del paese.

L’abitato sorge proprio ai piedi del Monte San Matteo, uno tra gli ultimi vulcani a cessare l’attività nell’intera Isola. Il toponimo Plovake, viene ritenuto di origine bizantina, mentre secondo un altra spiegazione creativa, il nome deriverebbe dal fondatore Plubio, o dalla parola fenicia Palegh che significa divisione dovuta ad uno squarcio nel terreno dalla lava, situato su un cratere vulcanico recente.

Sorse in epoca precartaginese e venne denominata Plubium dai romani che la dominarono. Nel V secolo fu quasi distrutta dalle invasioni barbariche ma nell’alto medioevo si sviluppò in maniera notevole ed entrò a far parte della curatoria di Florinas e fu eretta a diocesi. A metà del XIII secolo passò in mano ai Doria, poi ai Malaspina e in seguito ai giudici d’Arborea. Nel XIV secolo ebbe un periodo di decadenza e diventò un semplice paese.

 


 

COSE DA VEDERE

Il patrimonio archeologico consta di ben 48 monumenti risalenti al Neolitico recente, e comprendono 15 domus de janas, un dolmen e alcune tracce di insediamenti di tipo abitativo. La fiorente civiltà nuragica è testimoniata da 2 tombe dei giganti: Fiorosu, collocata tra quelle di dimensioni maggiori, e quella di Polcalzos. La fonte sacra di Frades Mereos si trova nella periferia del paese, in una piccola collina dove sulla cima si possono vedere le tracce del nuraghe omonimo ormai distrutto. Diverse sono le tracce di capanne e recinti e l’ultimo censimento conta ben 80 nuraghi. Alcuni sono a pianta complessa mentre altri sembrano di tipo monotorre. A pianta complessa Funtana e Pedru è tra i più belli e integri del territorio, con una pianta trilobata formata da tre torri, due laterali semidistrutte e una centrale. Il Nuraghe Attentu, (assenzio) è stato nell’ottocento oggetto di attenzione da parte del Canonico Spano, eseguendone il primo scavo stratigrafico della Sardegna, rinvenendo così nella parte esterna, a quattro metri di profondità, frammenti di stoviglie romane. Si trova nella zona denominata Iscala de Chessa ed anch’esso è a pianta complessa.

Nella piazza centrale del paese vi è, unico in Sardegna, il complesso delle tre chiese: la chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, che fu sede vescovile al cui interno si possono ammirare un coro ligneo del Seicento e una tavola del XIV secolo, l’Oratorio del Rosario, dove al suo interno si trova la Pinacoteca donata al paese dal canonico Giovanni Spano e contenente importanti espressioni pittoriche che vanno dal seicento all’ottocento e l’Oratorio di Santa Croce. Il vecchio camposanto pare sia il più antico e forse il più bello della Sardegna, secondo quanto affermava il La Marmora. Collocato a braccetto tra l’Oratorio del Rosario e la chiesa di San Pietro, al suo interno si trovano epitaffi scritti in lingua logudorese che raccontano la storia di ciascun defunto.

Intorno alle campagne di Ploaghe, dalle raffinate architetture romaniche spiccano solenni e silenziose le chiese di San Sebastiano, di Sant’Antonio Abate e di San Antimo ed infine l’abbazia di San Michele di Salvennor, costruita nell’anno 1100.

Un tempo aveva vicino un monastero e poco distante un villaggio. Ogni anno si teneva una grande festa, meta di numerosi pellegrini dai paesi del Logudoro, che pare culminasse con l’apertura di una porta santa e chi la attraversava, otteneva preziose indulgenze.

Durante l’anno sono diverse le ricorrenze e le festività, durante il periodo di Ferragosto la suggestiva essida dei due Candelieri, rispettivamente i gremi dei Massai che portano il simulacro di Gesù Bambino e quello dei pastori che portano quello di San Pietro. A differenza di quanto avviene a Sassari ed a Nulvi, sfilano in due occasioni: nel giorno del Corpus Domini e poi il 15 agosto, con relative ottave. Una particolarità ploaghese che rende unica questa ricorrenza risalente al 1580 è il Candeliere di San Pietro che guida la processione per undici delle dodici “fermate”, sino al momento in cui, prima della dodicesima, cede il passo al candeliere di Gesù bambino, che entra in chiesa per primo.

Sempre nei giorni di ferragosto la Sagra della Pecora è un grande momento di cultura e aggregazione, con numerosi gruppi folcloristici e stand di prodotti enogastronomici locali come i pregiati formaggi dai sapori particolari.

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