Una celebrazione a metà tra il sacro e il profano è quella di “Is animeddas”, con origini incerte e misteriose, che si differenzia in modo significativo e che porta con sé antichi elementi di paganesimo.
A differenza di quanto avviene in molti centri italiani ed europei, dove la pratica di commemorare i morti è stata importata direttamente dalla tradizione anglosassone, l’origine della “festa delle anime” in Sardegna è avvolta nel mistero della storia. Sembra che i nostri antenati festeggiassero questa ricorrenza prima ancora di entrare in contatto con la versione celtica e anglosassone di Halloween, che derivava dal “Samhain”.
La notte di Samhain
The Samhain – o Capodanno Celtico – è una festa pagana antica che segna la fine dell’estate e l’inizio del nuovo anno agricolo. I Celti dividevano l’anno solare in due periodi: uno era per la nascita e lo sviluppo della natura (chiamato Beltane), mentre l’altro era per il periodo di riposo della natura in letargo (chiamato Samhain). Si pensava che durante le due notti che iniziavano i due periodi, il regno della luce e quello delle tenebre potessero unirsi, liberando le anime dei defunti, che potevano così tornare sulla terra. La celebrazione più significativa del calendario agricolo era la “notte di Samhain”, dedicata a commemorare i defunti e le anime, celebrata tra il 31 ottobre e il 1° novembre in onore dell’ultimo raccolto. Era un momento cruciale e veniva celebrato con fuochi e rituali di diverse tipologie.
Il cristianesimo e la festa di Ognissanti
Con la conquista romana della Gallia, l’Occidente ereditò tali tradizioni, arricchendole di ulteriori connotazioni “locali”. Il Cristianesimo dovette convivere a lungo con l’influenza del paganesimo nella cultura sacra. Di conseguenza, assorbì e approvò antiche usanze pagane, trasformandole in festività obbligatorie. Quindi, a partire dal IX secolo, il 1° novembre diventò la festa di Ognissanti, e proprio da questa festività trae origine la festa anglosassone di “Halloween”, che letteralmente significa “la vigilia di tutti i santi”, ovvero “All Hallows’ eve”.
Ma prima che il Cristianesimo attribuisse al 1° novembre la festa di Ognissanti, in Sardegna esistevano antichi rituali per commemorare le anime dei defunti. Sono molte le leggende popolari che raccontano come, durante la notte dedicata ai defunti, le anime dei morti possano muoversi liberamente tra i vivi. Queste credenze popolari hanno generato nel corso dei secoli una varietà di rituali che coinvolgono principalmente i bambini. In numerosi villaggi dell’isola, specialmente a Seui, durante la festa di “Su Prugadoriu”, i bambini vestono una tunica bianca come un lenzuolo e portano un sacco sulla spalla chiedendo dolci e frutta secca di casa in casa mentre recitano la litania “seus benius po is animeddas, mi das fait po praxeri is animeddas?”.
Halloween e Is Animeddas
È chiaro che ci sono molte somiglianze tra la “festa delle anime” celebrata in Sardegna e Halloween, ma è probabile che le due tradizioni si siano sviluppate in modo indipendente. Anche perché, diversamente da Halloween, la “Festa delle Anime” è strettamente legata ai riti religiosi.
A seconda dell’area geografica, la festa delle anime è conosciuta come “Is Animeddas”, “Is Panixeddas”, “Su ‘ene ‘e sas ànimas”, “Su Mortu Mortu”, “Su Prugadòriu”, e continua ad essere molto attesa da grandi e piccini, con alcune piccole variazioni rispetto al passato. Mentre oggi si richiedono lecca-lecca e caramelle, una volta si ottenevano i dolci caratteristici dell’autunno: “papassinos”, “ossus de mortu”, “pani ‘e sapa” a cui venivano aggiunti melograni, castagne e frutta secca.
Ma non è solamente il “dolcetto o scherzetto” ad associare Halloween alle “is animeddas”. Ci sono altre caratteristiche comuni: il girare per le case travestiti e l’uso della zucca intagliata. Chiamata “Jack O’Lantern”, in Sardegna la zucca diventa “sa conca ‘e mortu”, utilizzata per spaventare i bambini.
E mentre i più piccoli cercano dolci, gli adulti onorano i loro defunti con una cena semplice composta da pasta, pane, acqua e un bicchiere di vino. È ancora pratica comune in molte parti dell’isola lasciare la tavola apparecchiata per tutta la notte in modo che i defunti possano tornare presso i luoghi amati fino all’alba e consumare quei cibi. Ma bisogna stare attenti a non lasciare le posate sulla tavola! Secondo la credenza popolare, non si dovevano mettere né forchette né coltelli nel corredo per il pasto dei defunti, per paura che le anime più agitate potessero usarle come armi. Insomma, in Sardegna non si scherza affatto con le anime! Anche se oggi la metafora del buio dell’aldilà ha assunto un ruolo importante e la morte viene affrontata con scherzi e travestimenti, il culto dei morti rimane una delle celebrazioni rituali più sentite della cultura popolare.
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