Antichi uomini trasformati in pietra da un castigo eterno, creature gigantesche che vivono in luoghi impervi, piccole fate capaci di tessere trame dorate tra i costoni delle montagne. Le leggende della Sardegna nascono dall’esigenza di dare un nome a ciò che un tempo era mistero puro e che, forse, rimarrà tale per sempre.
Isola di miti fin dalla sua fondazione, la Sardegna è un intreccio continuo di storie, tradizioni e racconti popolari: ogni luogo sembra custodire un segreto, ogni pietra una memoria.
Il mito come spiegazione del mondo antico
Sin dai tempi più remoti, quando la conoscenza non era ancora sufficiente a interpretare i fenomeni naturali, il mito interveniva a colmare il vuoto. Nacquero così mondi fantastici popolati da fate, giganti, spiriti benevoli o malvagi, santi e streghe: figure che ancora oggi abitano l’immaginario popolare.
Tra le leggende più diffuse spiccano quelle legate alla pietrificazione: uomini e donne trasformati in roccia come punizione divina. Rabbia, adulterio, cupidigia, lussuria, avarizia, ribellione: ogni menhir sembra raccontare un peccato, un monito, un destino inesorabile. Amanti proibiti, regine arroganti, uomini potenti privati d’un tratto del loro potere — tutti condannati alla durezza della pietra per ricordare che ogni gesto ha un prezzo.

Ma cosa si cela davvero dietro queste narrazioni? Miti nati solo per spiegare antichi monumenti, oppure tentativi di cristianizzare simboli pagani ancora troppo forti per essere cancellati? Probabilmente entrambe le cose.
E per capirlo meglio, occorre osservare da vicino queste antiche architetture.
Le “domus de janas”: dimore di fate e scrigni di antichi saperi
Origine e funzione archeologica
Le domus de janas, “case delle fate”, sono tombe ipogeiche risalenti al VI-III millennio a.C., durante la Cultura di Ozieri. Scavate nella roccia, composte da uno o più ambienti comunicanti, potevano formare vere e proprie necropoli. Il loro ingresso, spesso tramite un dromos, conduceva a un’anti-cella alta e spaziosa, talvolta marcata da decorazioni in ocra rossa.
La parola janna significa “porta” e richiama l’ingresso verso l’aldilà. Le strutture interne riproducono probabilmente le abitazioni preistoriche, complete di pilastri, nicchie e simboli sacri: spirali, corna taurine, motivi geometrici dal valore apotropaico. L’intero ambiente richiama simbolicamente il ventre materno, luogo di origine e rinascita.

La leggenda delle janas
Prima degli archeologi, però, furono i racconti popolari a dare un significato a queste cavità misteriose.
“Le janas erano certe piccole fate, per lo più malefiche, chiamate anche sas bìrghines”.
Grazia Deledda descrive le janas come “piccole fate, spesso malefiche”, mentre altre studiose – come Dolores Turchi e Claudia Zedda – le interpretano come creature benevole, dotate di grandi poteri e conoscenze antichissime. Non fate né streghe, ma esseri divini, custodi di tesori e arti segrete: filatura, medicina, panificazione, profezia.
Minuscole, abitatrici dei boschi, considerate le prime donne della Sardegna, abitavano le piccole cavità scavate nella roccia.
Da qui, il nome stesso delle tombe.
Tra mito, fede e continuità dei luoghi
Nel tempo, molte domus de janas furono alterate da scavi clandestini, attività estrattive e pascolo. Pastori e contadini, trovandosi davanti a rocce dalle forme insolite, si fermavano a riposare e pregare, associando quei luoghi a presenze sacre.
Con l’avvento del Cristianesimo, i simboli pagani vennero reinterpretati: incisioni e graffi del tempo divennero impronte della Madonna o dei santi.

Un esempio emblematico: “S’acqua ’e is dolus” (Settimo San Pietro)
Le scanalature nell’anticella furono lette come il calco lasciato dalle ginocchia di San Pietro, che vi avrebbe pregato ogni giorno. La ricorrenza veniva celebrata il 29 giugno, poi spostata ai primi di settembre.
Una sorgente vicina, la cui acqua filtrava dentro la tomba, era considerata miracolosa, capace di “lenire i dolori”: da qui il nome s’acqua ’e is dolus.

“Is perdas fittas”: menhir e circoli megalitici
Funzione e simbologia
I menhir — “pietre lunghe” — sono megaliti monolitici diffusi in tutto il Mediterraneo, legati a culti, sepolture e delimitazioni territoriali. Inizialmente erano idoli dalle forme astratte, poi divennero statue-menhir più definite, come quelle del Museo della Statuaria Preistorica di Laconi.
Erano eretti singolarmente, in allineamenti o in cerchi (cromlech), forse con funzione cultuale.
I circoli megalitici
Tipici della Gallura, ma presenti anche altrove, i circoli sono costituiti da cerchi concentrici di pietre che sostenevano un tumulo. Al centro si trovava una cista litica dove veniva deposto il defunto in posizione rannicchiata, il corpo dipinto in ocra rossa.
Tra un cerchio e l’altro si ergono grandi steli verticali simili ai menhir.

Quando la pietra diventa leggenda
Oggi molti allineamenti sono stati ricostruiti in modo parziale, generando la consuetudine — e la leggenda — dei menhir in coppia. Il nome più diffuso è “su para e sa mongia”, “il prete e la suora”: secondo la tradizione, due amanti proibiti trasformati in pietra. Era comune, in effetti, sentire notizie di storie d’amore che si sviluppavano in posti come monasteri o conventi. Anche Grazia Deledda, nel suo libro “La Madre”, narra di una maledizione legata a un amore segreto tra un prete, Paulo, e la bella Agnese.

Assai nota è anche la leggenda de “sa perda Iddocca”, “la pietra Iddocc
Un altro racconto celebre riguarda “sa perda Iddocca”, la regina nuragica che, devastata dalla morte della figlia, scagliò le pietre di un nuraghe e finì anch’essa pietrificata dal dolore.
Le “tombe dei giganti”: case di orchi e sepolture collettive
Struttura e funzione reale
Tra il 1800 e il 1000 a.C., accanto alle domus de janas riutilizzate, si impose una nuova tipologia funeraria: le tombe dei giganti. Lunghe fino a 30 metri, presentano un lungo corridoio interno e un’esedra monumentale costruita con lastre verticali o blocchi in tecnica isodoma.

Visti dall’alto, questi monumenti ricordano la protome taurina oppure — secondo teorie recenti — un utero femminile. Accanto alla struttura compaiono spesso i betili, pietre sacre affini ai menhir. Uno straordinario esempio in tal senso è costituito dalla tomba dei giganti di “Is Concias”.
Il mito dei giganti
Nell’immaginario popolare, nuraghi e tombe dei giganti erano “sa domu e s’orku”, la casa dell’orco: luoghi abitati da creature gigantesche. Le dimensioni ciclopiche dei monumenti e il ritrovamento di ossa (animali e umane) alimentarono l’idea che fossero resti di colossi antropofagi.
Negli ultimi decenni è circolata — anche in ambienti accademici — la teoria della presenza di antichi giganti in Sardegna, ma nessun ritrovamento archeologico la supporta.

Sardegna: un viaggio tra leggenda e archeologia
Le storie che avvolgono le pietre millenarie della Sardegna sono parte integrante dell’anima dell’isola.
Giganti, janas, santi e regine pietrificate non sono semplici racconti: sono un modo antico di leggere il paesaggio, un ponte tra passato e presente.
La Sardegna non è solo da osservare: è un luogo da ascoltare, vivere e scoprire, lasciandosi guidare dai suoi miti e dalle sue pietre sacre.
Riferimenti Bibliografici
- Claudia Zedda, Creature fantastiche in Sardegna
- Dolores Turchi, Racconti e leggende popolari della Sardegna
- Grazia Deledda, Leggende sarde
- Paolo Melis, La Sardegna Nuragica
- Franco Laner, La Sardegna preistorica
- Franco Fresi, La Sardegna dei misteri
- AAVV, La sardegna dei sortilegi
- Gian Michele Lisai, Le incredibili curiosità della Sardegna

Roberta Carboni è una Guida turistica, da oltre 10 anni e Storica dell’arte, vive a Cagliari ed appassionata di Sardegna, che ama così tanto, da tutta la vita, ed è proprio per questo che ha scelto di raccontarla, attraverso tour tematici esclusivi. In questo modo, contribuisce a far conoscere l’isola non soltanto per chi ancora non la conosce, ma anche per gli stessi sardi. I tour si svolgono sia all’interno di Cagliari, quindi nel centro storico e in altre parti della città, che nei dintorni della stessa, spingendosi anche nel sud e centro della Sardegna.
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