Un racconto semplice, autentico, capace di commuovere grazie ai suoi valori profondi e universali. Il Dono di Natale è una storia che parla di sentimenti e piccoli gesti quotidiani, evocando atmosfere di casa, famiglia e attesa: quell’incanto tipico del periodo natalizio.
A prima vista potrebbe sembrare una fiaba per bambini, e invece coinvolge lettori di ogni età, ricordandoci ancora oggi quanto le narrazioni di Grazia Deledda siano senza tempo.
La novella fu pubblicata nel 1930, tre anni dopo l’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura alla scrittrice nuorese (ottenuto nel 1927 ma riferito all’anno precedente) e sei anni dopo la sua scomparsa. Nonostante questo, Il Dono di Natale continua a trasportarci indietro nel tempo, nella Sardegna pastorale, in un piccolo villaggio imbiancato dalla neve: un presepe umano attraversato da atmosfere insieme magiche e religiose.

Personaggi e ambientazione del racconto
È la vigilia di Natale. In due umili famiglie di un paesino sardo si respira un’attesa intensa, diversa dal solito: sta per arrivare un misterioso dono destinato a portare gioia a entrambe le case.
I protagonisti sono Felle e Lia, due bambini cresciuti fianco a fianco, nelle loro casette affacciate sul medesimo cortile, “una per parte del cortile, si rassomigliavano come due sorelle”. Felle è “un bel ragazzino di 11 anni”, il più giovane dei Lobina; Lia è vivace, curiosa, piena di vita. Entrambi si preparano alla festa, ciascuno secondo il proprio modo di vivere l’incanto natalizio.
La famiglia di Felle, che ha perso da poco il padre, attende l’arrivo del fidanzato della figlia — l’unica femmina — e si organizza per accoglierlo con una cena speciale, alla quale parteciperà l’intera famiglia.
La famiglia di Lia, invece, vive l’atmosfera con maggiore raccoglimento, nell’attesa di un regalo misterioso. Anche Felle aspetta il dono tradizionale che, secondo l’usanza, il promesso sposo deve inviare alla sua futura moglie, durante la cena in cui incontrerà la famiglia, accompagnato da suo nonno.

Il rientro dalla transumanza
I cinque fratelli Lobina, incluso Felle, rientrano per la festa dopo la transumanza, lasciando temporaneamente gli ovili. Mentre percorrono la strada verso casa, il giovane Felle immagina come dimostrare al futuro cognato — un giovane bello e molto ricco — il proprio valore e la propria lealtà verso la sorella, quasi a volere compensare l’umile condizione familiare. In testa al piccolo corteo di pastori, Felle porta con fierezza una bisaccia con dentro il maialino destinato alla cena.
“Il piccolo paese era coperto di neve; le casette nere, addossate al monte, parevano disegnate su di un cartone bianco, e la chiesa, sopra un terrapieno sostenuto da macigni, circondata d’alberi carichi di neve e di ghiacciuoli, appariva come uno di quegli edifizi fantastici che disegnano le nuvole. Tutto era silenzio: gli abitanti sembravano sepolti sotto la neve.”.
Il racconto dipinge con poche, efficaci pennellate un luogo sospeso: l’arrivo di Felle a casa, il saluto a Lia, il profumo dei dolci, il tepore domestico, le canzoni in rima. Sono immagini che riportano a un’intimità familiare che spesso sembriamo dimenticare nella frenesia di ogni giorno.
“La sorella, alta e sottile, era già vestita a festa; col corsetto di broccato verde e la gonna nera e rossa: intorno al viso pallido aveva un fazzoletto di seta a fiori; ed anche le sue scarpette erano ricamate e col fiocco: pareva insomma una giovane fata, mentre la mamma, tutta vestita di nero per la sua recente vedovanza, pallida anche lei ma scura in viso e con un’aria di superbia, avrebbe potuto ricordare la figura di una strega, senza la grande dolcezza degli occhi che rassomigliavano a quelli di Felle”.
La magia dell’atmosfera di Natale
L’ingresso del fidanzato e del nonno accresce la gioia generale, ma i rintocchi delle campane interrompono la festa: è il momento della Messa di Natale. L’intero villaggio scende in strada e si raccoglie in chiesa, portando con sé la gioia e la speranza tipiche della notte più luminosa dell’anno.
Su invito della madre, Felle porta ai vicini una coscia di maiale, affinché anche loro possano gustare una cena diversa: un gesto di generosità che il Natale amplifica.
“Dentro la chiesa continuava l’illusione della primavera: l’altare era tutto adorno di rami di corbezzolo coi frutti rossi, di mirto e di alloro: i ceri brillavano tra le fronde e l’ombra di queste si disegnavano sulle pareti come sui muri di un giardino. In una cappella sorgeva il presepio, con una montagna fatta di sughero e rivestita di musco: i Re Magi scendevano cauti da un sentiero erto, e una cometa d’oro illuminava loro la via. Tutto era bello, tutto era luce e gioia. I Re potenti scendevano dai loro troni per portare in dono il loro amore e le loro ricchezze al figlio dei poveri, a Gesù nato in una stalla; gli astri li guidavano; il sangue di Cristo, morto poi per la felicità degli uomini, pioveva sui cespugli e faceva sbocciare le rose; pioveva sugli alberi per far maturare i frutti. Così la madre aveva insegnato a Felle e così era”.
Ma quali sono i doni tanto attesi?
Quali saranno dunque questi regali, capaci di portare felicità ai due bambini e alle rispettive famiglie? Lo si scopre soltanto leggendo la novella.
Eppure, come suggerisce la stessa Deledda, la gioia autentica non risiede tanto nel dono in sé, quanto nell’attesa, nei preparativi, nella trepidazione che precede l’arrivo del momento tanto desiderato.
Riferimenti Bibliografici:
- Grazia Deledda, Il dono di Natale.

Roberta Carboni è una Guida turistica, da oltre 10 anni e Storica dell’arte, vive a Cagliari ed appassionata di Sardegna, che ama così tanto, da tutta la vita, ed è proprio per questo che ha scelto di raccontarla, attraverso tour tematici esclusivi. In questo modo, contribuisce a far conoscere l’isola non soltanto per chi ancora non la conosce, ma anche per gli stessi sardi. I tour si svolgono sia all’interno di Cagliari, quindi nel centro storico e in altre parti della città, che nei dintorni della stessa, spingendosi anche nel sud e centro della Sardegna.
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