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La Sardegna e il Carnevale, tra folklore e tradizione

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Il carnevale è tra le feste rituali, quella più antica al mondo. E’ un mix di elementi presi dal mondo pagano agro-pastorale e da elementi legati alla religione cristiana che si fondono insieme alla cultura e la tradizione popolare, unendo superstizionemagia, esoterismo che terminano nella più brutale trasgressione.
Il Carnevale nasce per capovolgere le consuetudini, i valori e le norme proprie della quotidianità, precedendo la Quaresima, in cui ritornano il sacrificio, il silenzio, la fatica e l’espiazione dei peccati.

In Sardegna le origini del Carnevale, sono da ritrovare nei rituali agrari che in epoca romana contraddistinguevano il passaggio tra inverno e primavera. L’etimologia della parola Carnevale secondo alcuni studiosi, si riferirebbe all’espressione romana “carnem levare” alludendo all’eliminazione della carne prima della Quaresima, nell’ultimo banchetto che si svolgeva il cosiddetto martedì grasso.

Per i Romani una prima espressione del Carnevale furono i “Saturnalia”, festeggiamenti in onore di Saturno, divinità italica dell’agricoltura. I Saturnali avevano inizio il 17 dicembre e proseguivano per sette giorni durante i quali tutto era consentito (mangiare, bere, scherzare), ma in particolar modo era consentito lo scambio dei ruoli sociali: gli schiavi potevano considerarsi temporaneamente degli uomini liberi e come tali, potevano comportarsi.
Con la venuta del Cristianesimo e la conseguente soppressione di tutte le feste pagane, il Carnevale seguitò ad essere celebrato perdendo, però, il suo contenuto magico e rituale; rimase semplicemente una forma di divertimento popolare.

Proprio per questo diventa fondamentale e ricorrente la presenza del fuoco come elemento propiziatorio per il ritorno del sole e della fertilità dei campi. I fuochi di Sant’Antonio in Sardegna danno inizio al Carnevale, durante i quali, il 17 Gennaio, a Mamoiada, fanno la loro prima uscita ufficiale i Mamuthones.

La fine del Carnevale raggiunge l’apice nel martedì grasso, dove vengono bruciati i feticci come capro espiatorio di tutti i mali della comunità, in senso liberatorio.

Sa Ratantira in Piazza Costituzione a Cagliari. Foto: Vistanet

Il Carnevale Cagliaritano: “sa Ratantira” e il rogo di “Cancioffali”


Rispetto a quello barbaricino, il Carnevale cagliaritano ha sempre avuto minor risonanza, ma vanta d’altro canto una lunghissima tradizione che, negli ultimi anni, fortunatamente, si sta riscoprendo. Momento centrale è la processione mascherata a ritmo di tamburo che prende il nome di “Ratantira”. Durante la processione, un corteo di figuranti mascherati scandisce il ritmo della camminata a suon di tamburi, grancasse e piatti, coinvolgendo i partecipanti in una danza concitata. Il termine “ratantira” è onomatopeico e allude al suono “fan tan tan” generato dai tamburi che, appunto, attira e coinvolge la folla nel ballo. Durante “Sa Ratantira” fanno la loro comparsa alcune maschere tradizionali, caricature dei popolani cagliaritani che si sono codificate a partire dall’ epoca spagnola. Tra queste, celebre è quella de “sa panettera”, la panettiera tipica del quartiere Villanova, nota tanto per il suo abito ricco e sontuoso e l’abbondanza dei gioielli, quanto per la sua volgarità e irriverenza. Ma la figura che fa da cardine al Carnevale cagliaritano è quella di Re Giorgio, chiamato anche “Re Cancioffali”, un grande feticcio incoronato che simboleggia il potere in tutte le sue forme e l’inettitudine che spesso caratterizza chi lo incarna. “Cancioffali” viene portato in processione e poi bruciato in via Santa Margherita con un grande falò il martedì grasso.

Sfilata dei Mamuthones e Issohadores. Foto: Mamoiada Turismo

Il Carnevale barbaricino: tra Mamoiada e Ottana


Differentemente dal clima goliardico e scherzoso del Carnevale cagliaritano, quello barbaricino, invece, è caratterizzato dal carattere cupo e tetro nel quale il passaggio dal buio alla luce, dalla liberazione dai peccati terreni al il trionfo del bene sul male diventano elementi indissolubili di una tradizione che, probabilmente, affonda le sue radici nella notte dei tempi. Tra i più famosi della Sardegna, il Carnevale di Mamoiada e quello di Ottana, celebrano la dicotomia tra gli opposti: Mamuthones e Issohadores a Mamoiada e Boes e Merdules ad Ottana rappresentano il trionfo della ricchezza sulla miseria, della giovinezza sulla vecchiaia. Il buio, la morte, la magia sono elementi caratterizzanti la cultura carnevalesca barbaricina, rappresentando un dialogo con la morte che è visto come condizione indispensabile per l’evoluzione e la sopravvivenza.

Mamuthones e Issohadores

Rumorosi, corpulenti, grotteschi e solenni, nel Carnevale di Mamoiada i 12 Mamuthones sfilano in fila per due davanti al corteo, facendo tintinnare i solenni campanacci di bue a ritmi diversi, unico rumore in un silenzio assoluto. Indossano una maschera di legno, detta “bisera”, dall’espressione accigliata e grottesca e sono ricoperti di pelli e pelo d’animale.

I Mamuthones aprono il corteo e sono seguiti dagli Issohadores. Il loro compito nel Carnevale è quello di esprimere la brutalità della bestia, l’istinto animalesco, affondando le radici culturali di questa tradizione in tempi arcaici.

Gli Issohadores chiudono il corteo aperto dai 12 Mamuthones, camminando alle loro spalle in modo composto ed ordinato. Sono 6, vestiti lussuosamente e indossano berretto nero, camicia bianca e casacca di panno rosso.
Caratteristica essenziale è la maschera bianca dai tratti delicati e, a differenza dei Mamuthones, assolutamente inespressiva.

Nel loro sicuro incedere, gli Issohadores tengono in mano la lunga fune di giunco (“sa soca”, da cui il nome Isso(c)adores) che lanciano come un lazzo tra la folla per catturare le prede, in modo particolare le donne.

Ottana – Boes e Merdules. Foto: Wikipedia

Boes e Merdules

Boes e Merdules incarnano l’anima del Carnevale di Ottana.

I Boes indossano sul volto una maschera ,“sa caratza”, che ha le fattezze di un bue e porta diverse decorazioni, la più famosa delle quali è il «fiore della vita» simbolo di prosperità, di speranza e di buon auspicio. I Boes indossano pelli di pecora e gli immancabili e caratteristici campanacci.

I Merdules indossano una maschera dalle fattezze antropomorfe, simile a quella dei Mamuthones, ma come gli Issohadores cercano di avere il comando durante tutta la sfilata. Anche loro sono coperti di pelli di pecora bianca ed utilizzano un bastone, “su matzuccu”, col quale richiamano a sè i Boes o tentano di addomesticarli usando una fune di cuoio, ugualmente chiamata “sa soca”.

Sa Filonzana durante la prima comparsa delle maschere ad Ottana in occasione di Fuochi di Sant’Antonio.
Foto: Matteo Carta

Sa Filonzana

Nel Carnevale di Ottana, oltre ai Boes e Merdules, appare spesso un’altra figura, detta “Sa Filonzana”, la filatrice.

È un uomo che personifica i panni di una vecchia zoppa, brutta e deforme, intenta a filare la lana. Questa figura carnevalesca è interpretata da un uomo perché così come accadeva nel teatro, anche nel Carnevale le donne non potevano prender parte alla rappresentazione e quindi anche i personaggi femminili, venivano interpretati dagli uomini. Il filo rappresenta la vita e lei è pronta a tagliarlo con un paio di forbici davanti a chi non le offre da bere. Si tratta di un evidente richiamo alle Parche del Mito Greco, che i romani chiamavano «Moire». È la filonzana ad ordinare ai Boes di morire, e questi cadono a terra, e solo dopo pochi minuti si rialzano e riprendono a sfilare a simboleggiare il ciclo della vita.

La Sartiglia di Oristano

La Sartiglia è una tra le più antiche giostre equestri del Mediterraneo e tutt’ora rappresenta un evento assai sentito dagli stessi oristanesi e dai sardi in generale, incarnando esattamente il senso di spettacolarità coreografica del Carnevale in senso lato. La Sartiglia si celebra l’ultima domenica e il martedì di Carnevale e trattasi in una corsa a cavallo che i cavalieri – ed in particolare uno di loro, detto “Su Componidori”, eseguono tra le vie del centro storico con l’obiettivo di centrare con una spada il bersaglio: la famosa stella dorata, appesa a mezz’aria per mezzo di un nastro verde.

La conquista della stella è sinonimo di buona sorte, il fallimento invece allude alla cattiva sorte. Di origine tutt’ora incerta e discussa, il termine Sartiglia deriva dal castigliano “sortija”, che significa “anello”, includendo al suo interno il termine “sors” che significa sorte, in senso di fortuna. Dentro la Sartiglia, quindi, sopravvivono probabilmente alcuni degli aspetti più interessanti e meno esplorati della ritualità  pagana, contaminata dai cerimoniali di origine cristiana. La corsa è infatti legata alla ciclicità delle stagioni e la sua ragion d’essere è la propiziazione del raccolto.

Cavaliere che osserva soddisfatto la stella, che ha appena infilzato con la sua spada.
Foto: Antonio Casu

“Su Componidori” è il cavaliere per eccellenza, il capo corsa, che si caratterizza per la sua maschera dalle chiare fattezze androgine. E  Il termine allude alla vestizione rituale pubblica che “Su Componidori” attende per poter “nascere”. Spetta a lui il delicato compito di infilzare la stella con la sua spada, e alla sua figura viene riservata un’importanza celebrativa rituale che costudisce un momento magico e scaramantico vissuto attivamente da tutta la comunità, fin dal momento della sua vestizione. Dal momento in cui indossa la maschera, “Su Componidori” è inarrivabile e lontano, proprio come un Dio. Non è solo la maschera a conferirgli sembianze asessuate: il cilindro nero sul capo, il velo, la camicia ricca di sbuffi e pizzi, il gilet e il cinturone di pelle sono elementi che denotano un aspetto a metà  tra uomo e donna.

Su Componidori insieme a su Secundu. Foto: Antonio Casu

Conclude la corsa alla stella la nota corsa delle Pariglie, durante la quale i cavalieri si esibiscono da soli o in gruppo, uno dopo l’altro, in spettacolari e pericolose acrobazie sulla groppa dei propri cavalli. mettendo in evidenza la qualità come il coraggio, la destrezza e l’affiatamento tra uomo e animale.


Riferimenti bibliografici


Roberta Carboni è una Guida turistica, da oltre 10 anni e Storica dell’arte, vive a Cagliari ed appassionata di Sardegna, che ama così tanto, da tutta la vita, ed è proprio per questo che ha scelto di raccontarla, attraverso tour tematici esclusivi. In questo modo, contribuisce a far conoscere l’isola non soltanto per chi ancora non la conosce, ma anche per gli stessi sardi. I tour si svolgono sia all’interno di Cagliari, quindi nel centro storico e in altre parti della città, che nei dintorni della stessa, spingendosi anche nel sud e centro della Sardegna.

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